lunedì 2 luglio 2007

Una ricerca sul (controverso) rapporto tra relatori pubblici e giornalisti

Non potevo non segnalare la ricerca che Toni Muzi Falconi e Chiara Valentini stanno conducendo e che riguarda il rapporto tra relatori pubblici e giornalisti.

Rispondete e diffondete il questionario!

Molto spesso questo rapporto è controverso, teso, poco ben definito. Molte volte succede che il confine tra i due "mondi" sia così labile (se di confine si può parlare) da non vederci chiaro nemmeno chi si trova in mezzo.

Personalmente preferisco considerarli due facce della stessa medaglia, con il distinguo che riguarda l'approccio che un relatore pubblico dovrebbe, a mio avviso, avere: la stampa (web, radio, carta) è uno dei mezzi di comunicazione, il cui uso, come strumento e non come mero fine, dovrebbe rientrare in tutte quelle attività continuative volte per creare e mantenere una rete di relazioni con i diversi pubblici di riferimento dell'organizzazione per la quale lavora.

Il relatore pubblico dovrebbe fare relazioni (quindi media relations, non semplice addetto stampa), il giornalista occuparsi di informazione.

Difficile che un giornalista che non ha fatto altro nella vita possa fare comunicazione, anche se potrebbe sempre avanzare la famosa frase di Paul Watzlawick: "E' impossibile non comunicare"...

Che ne dite?

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Misurare per crescere come professionisti


Giovedì scorso ho seguito un interessantissimo seminario sulla misurazione dei risultati dell’attività di relazioni pubbliche tenuto dalla dott.ssa Stefania Romenti e sapientemente organizzato da Ferpi Triveneto.

Devo dire che la giornata, a mio giudizio, è stata estremamente proficua in quanto la partecipazione di molti professionisti “attenti e vivaci” ha reso molto piacevoli le ore in aula.
Fatto questo doveroso preambolo, mi sembra giusto spendere qualche parola per l’argomento della giornata, la misurazione e la valutazione delle attività di relazioni pubbliche.
Con quale obiettivo ho partecipato a questo seminario?
Penso che la nostra categoria professionale non abbia ancora un ruolo ben definito (ahimè) agli occhi dell’opinione pubblica e, conseguentemente, anche dei potenziali nuovi clienti.
Perchè? Penso che la mancanza di una “scientificità” della materia e dei risultati, a detta di alcuni, sia la causa principale oltre che, e non mi stancherò mai di dirlo, la mancanza di una certificazione della professione.
Ecco perchè sono convinto che la presentazione di risultati misurabili e confrontabili al cliente possa essere un elemento non valido bensì fondamentale per il definitivo affermarsi del nostro lavoro.
Altra considerazione è che, al contrario di ciò che pensavo prima del seminario, la misurazione e la valutazione dei risultati non sono un’attività finale alla campagna di rp bensì costituiscono un percorso parallelo al fine di governare nel miglior modo possibile le relazioni con gli stakeholder dell’azienda.
La nota più positiva è stata però la possibilità, o meglio l’intuizione, di identificare alcuni criteri di misurazione e valutazione che potrò, fin da subito, applicare al lavoro d’ogni giorno. E non è per niente poco!

Nei prossimi giorni cercherò di approfondire alcuni punti trattati quindi...un pò di pazienza.

Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, potete leggere il libro scritto dalla dott.ssa Romenti (ricercatrice presso lo Iulm e consulente d’impresa) “Valutare i risultati della comunicazione. Modelli e strumenti per misurare la qualità delle relazioni e della reputazione”.

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domenica 10 giugno 2007

Fiducia, trasparenza e la gestione della cosa pubblica

La mancanza di trasparenza della politica e la sfiducia nelle istituzioni che ne deriva sono i principali problemi del nostro paese. Inutile girarci attorno. E bene lo si è visto nel convegno organizzato da FERPI sul ruolo della comunicazione per la modernizzazione del Paese, tenutosi a Roma l'8 giugno scorso. Leggete il commento del già presidente Andrea Prandi a riguardo.

Moderato da Fabio De Rossi, vice direttore del Mondo, l'incontro ha avuto come principali relatori Paolo Anselmi di Gfk-Eurisko, l'azienda che ha curato per conto di FERPI una ricerca sul grado di fiducia degli italiani verso le istituzioni, e Paul Véron, direttore della Comunicazione e delle relazioni esterne di UIC (Union internazionale des Chemins de fer).

La ricerca era volta a scoprire di quali fonti si fidassero gli italiani, quale tipo di informazioni richiedessero, e quale atteggiamento avessero verso le infrastrutture.

Da questa ricerca è emerso un dato interessante per quanto riguarda la fiducia: i politici risultano essere all'ultimo posto (ma che strano!), e i media sono superati dalle associazioni ambientaliste (sic!).

Ma sono esse solo più credibili oppure sono più capaci di altri di comunicare meglio, di dimostrarsi trasparenti e degni di fiducia?

La trustworthiness risulta essere un reale problema - se non IL problema - per le istituzioni e la politica italiane. Il problema è che la fiducia nella e verso la politica manca da molto tempo. Secondo Giampietro Vecchiato, neo-eletto vicepresidente FERPI, con il quale ho scambiato qualche parola ieri sera, la sfiducia nella politica potrebbe essere fatta risalire agli anni '70, mentre secondo Fabio Ventoruzzo - giovane account di FBcomunicazione e socio FERPI - sarebbe Tangentopoli ad aver segnato definitivamente la storia politica italiana.

La trasparenza che manca in molte fasi del processo decisionale e amministrativo fanno il resto.

Che fare dunque? Serve maggiore credibilità, ma cose si costruisce? o come si ricostruisce?

Lavorare sulla credibilità potrebbe a mio avviso risultare, agli occhi della gente, manipolatorio e quindi incentiverebbe la percezione diffusa che i relatori pubblici siano persuasori occulti...

Non è quindi solo dai relatori pubblici che ci si potrebbe aspettare il compito di ridare credibilità alle istituzioni, ma sono soprattutto queste che dovrebbero fare un'attenta analisi di coscienza e mettersi a ricostruire davvero il paese.


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La FERPI che verrà

Si è conclusa ieri 9 giugno a Roma l'assemblea nazionale della FERPI - Federazione Relazioni Pubbliche Italiana (www.ferpi.it). Una città blindata per l'arrivo di George W. Bush ha fatto da cornice all'incontro biennale per il rinnovo delle cariche del direttivo e della guida della Federazione.

L'assemblea ha quindi eletto come successore di Andrea Prandi, Gianluca Comin, direttore della comunicazione di Enel, che per i prossimi due anni guiderà la FERPI assieme a un folto gruppo di professionisti di tutto rispetto. Spicca anche il nome del Vicepresidente il veneto Giampietro Vecchiato, socio dell'associazione dal 1990 e professionista riconosciuto sia a livello locale che nazionale.

La FERPI ora si porrà come obiettivi quelli indicati nel programma e voglio qui citarne i principali, che personalmente ritengo fondamentali:

- diventare più autorevole e rappresentativa per i professionisti del settore RP;

- trasformarsi in un organo più giovane e vitale, che viaggi al passo con l'attualità e con le nuove generazioni;

- rafforzare la sua capillarità e il suo radicamento nel territorio;

- diventare internazionale, per confrontare metodi e stili di comunicazione in un mondo sempre più globale.


Per fare questo c'è bisogno dell'apporto di tutti, non solo dei membri del direttivo. In questo sono stati chiari sia il presidente che il vicepresidente. La rappresentatività e l'autorevolezza si costruiscono con il tempo.

Inoltre mi piace sottolineare l'importanza che viene data alla vitalità e alla giovinezza dell'associazione, che, sempre secondo Comin e Vecchiato, deve puntare sui contributi dei soci più giovani, il futuro della professione.

Sto parlando di Uni>FERPI, la sezione studenti della Federazione, che tra l'altro ha rinnovato il direttivo (al quale il sottoscritto ha partecipato) rieleggendo Grazia Murtarelli, studentessa della Iulm di Milano a coordinatore nazionale affiancata da Luca Fantin, iscritto a Relazioni pubbliche online dell'Università di Udine a Gorizia.

Primi fra tutti i giovani. I giovani che escono dall'Università per entrare nel mondo del lavoro non hanno bisogno di formazione teorica, ma devono trasformare le competenze concettuali acquisite nel percorso di studi in soluzioni concrete per i destinatari della loro attività di relatori pubblici.

Un'associazione di professionisti può e deve mettere a disposizione delle nuove leve la propria esperienza, il proprio network di informazioni e contatti, per creare un ponte tra formazione professionale e formazione accademica.


Questo è solo l'inizio, ora ci aspetta un biennio interessante e ricco di stimoli. Molti sono stati chiamati a dare un contributo tangibile all'associazione - personalmente credo sia così che si vive davvero appieno la vita associativa -, ma c'è bisogno dell'aiuto di tutti per raggiungere gli obiettivi preposti.

Quindi è tempo di rimboccarsi le maniche e di darsi da fare! Ad multos annos!

Per chi volesse saperne di più, presto sul sito FERPI (al più tardi mercoledì sera) ci sarà il resoconto dettagliato dell'assemblea.

Se avete letto questo articolo e volete iscrivervi alla FERPI, è presto detto.

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giovedì 24 maggio 2007

Ancora dubbi sui blog? Chiedere ad Apple.


Leggendo siti e blog italiani o parlando con professionisti del settore delle relazioni pubbliche, c’è sempre stato e continua ad esserci una certa diffidenza sul reale potere dei blog nel mondo dell’informazione e della comunicazione.
Ma forse basterebbe buttare l’occhio un po’ più in là per capire che, come gli altri media, anche i blog possono riservare gioie & dolori e spesso le lacrime possono essere “molto salate”.
Engadget, fonte web delle più autorevoli sulle news nel campo delle tecnologie, ha pubblicato un articolo in cui annunciava forti ritardi (qualche mese ma in questo settore si può considerare un’eternità) della Apple nell’uscita dell’attesissimo Iphone e del sistema operativo Mac Os X 10.5.
La fonte doveva essere un’email interna dell’azienda inoltrata esternamente proprio ad Engadget quindi nulla di più sicuro se non fosse per il fatto che, dopo accertamenti, tale messaggio è risultato essere fasullo anche se maledettamente uguale ai messaggi di posta elettronica interni di Apple.
Risultato? In pochi minuti le azioni della Mela hanno iniziato a crollare al Nasdaq passando da 108,48 a 103,42 dollari per complessivi 4 miliardi di dollari di danno.
Nonostante la smentita di Apple sia stata tempestiva così come l’intervento riparatore di Engadget, il risultato prodotto è stato davvero sconcertante.

Per chi volesse approfondire qui potete trovare l’articolo di Engadget con la smentita.

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venerdì 1 dicembre 2006

Le relazioni commerciali...comunicazione d'impresa


Nel mese di gennaio partirà a Udine un corso per "Addetti alle relazioni commerciali" organizzato dall'Ires (Istituto di Ricerche Economiche e Sociale del Friuli Venezia Giulia) e finanziato dal Fondo Sociale Europeo: perchè vi dico questo? Perchè, per precedenti accordi tra la società per cui lavoro ed Ires, dovrò partecipare a tale corso in qualità di relatore.
A dir la verità, essendo il mio un intervento breve (un pomeriggio) è più corretto forse dire che dovrò portare una testimonianza di come vengono affrontati, all'interno della nostra struttura (Centro Convegni Palazzo delle Professioni di Udine) i rapporti commerciali.
Stavo quindi iniziando a strutturare la mia "lezione" e cercando di capire quale taglio dare all'argomento per non fossilizzarmi su concetti "terra terra" e per lasciare qualcosa ai partecipanti, almeno il mio punto di vista.
Ed è così che mi sono trovato a ragionare sulle relazioni commerciali...eh già, proprio relazioni...come le ns adorate relazioni pubbliche, ci sarà mica qualche punto di contatto?

Risposta semplice....naturalmente SI!

Le relazioni commerciali possono...devono essere considerate, a parer mio, sotto due ottiche:

1) STRUMENTO DELLA COMUNICAZIONE D'IMPRESA

Le aziende comunicano in maniera più o meno consapevole con i propri pubblici di riferimento, tra cui i clienti (acquisiti e potenziali). In quest’ottica la figura dell’addetto alle relazioni commerciali dev’essere rivisitata non solo come fonte di redditività per l’azienda bensì come “costruttore” di relazioni e rapporti duraturi ed efficaci.
Ne consegue che le relazioni commerciali costituiscono un momento fondamentale nella creazione e gestione dell’identità dell’azienda stessa.

2) STRUMENTO DI AUDIT e, conseguentemente, fonte di informazioni utili alla pianificazione strategica dell'azienda

Il processo evolutivo della comunicazione d’impresa negli ultimi anni è principalmente segnato dal passaggio da “comunicazione” a “relazione” in cui gli interessi dei pubblici esterni dell’azienda vengono interiorizzati e fatti propri. Qual’è il motivo di questo cambiamento? L’azienda vuole creare “consenso” al fine di fidelizzare il cliente e garantirsi un rapporto nel lungo periodo con i suoi interlocutori.
Le relazioni commerciali, in quest’ottica, diventano strumento di audit e quindi di verifica e controllo degli interessi e delle aspettative del mercato: in questo modo l’addetto alle relazioni commerciali e la sua attività quotidiana diventano fonte di informazioni utili a pianificare la strategia aziendale.

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sabato 11 novembre 2006

Lei non sa chi sono io...eticamente parlando


Si è da poco conclusa la tredicesima edizione del Compa di Bologna, il Salone Europeo della Comunicazione Pubblica, anche quest’anno teatro di interessanti confronti e discussioni.

Per chi non conosce questa manifestazione basti sapere che neanche Ethan Hunt (Tom Cruise in Mission Impossible) potrebbe tentare di partecipare a tutti i convegni, seminari e tavole rotonde organizzate nella tre giorni bolognese (calendario), è necessario quindi scegliere accuratamente
le tematiche ed i relatori che più interessano e prepararsi a correre per i corridoi del quartiere fieristico felsineo.

La mia “avventura” di quest’anno parte martedì 7 novembre, ore 16.30 presso la sala T del Centro Servizi per seguire il convegno “Etica della comunicazione” e che vede come coordinatore Adriano Fabris (direttore Master in Comunicazione Pubblica e Politica presso l’Università degli Studi di Pisa) mentre come relatori Paolo Scandaletti (docente di Etica della Comunicazione presso la Luiss Guido Carli), Guidi Gili (preside Facoltà Scienze umane e sociali presso l’ Università degli Studi del Molise), Padre Pasquale Borgomeo (Collegio degli Scrittori “La Civiltà Cattolica”) e Giorgio Battisti (generale di divisione, capo Reparto Affari Generali, Stato Maggiore dell’Esercito).

Per motivi di spazio non mi è possibile presentare integralmente i concetti espressi ma cercherò di riassumere alcuni pensieri dei relatori.

Innanzitutto “comunicare eticamente” significa farlo in maniera trasparente: in poche parole il mittente del messaggio dev’essere ben identificabile così come i suoi obiettivi. Questo aspetto l’abbiamo già visto nel post sulle intercettazioni telefoniche con il contributo di Toni Muzi Falconi.

Interessante però la considerazione del prof. Gili che, citando gli studi del sociologo canadese Erving Goffman, ci dimostra come il mittente del messaggio può essere composto da una pluralità non meglio definita di soggetti (animatore – autore – mandante). Questo è perfettamente reale nelle professioni dove qualcuno cura gli interessi di un’altra persona (o organizzazione): pensiamo al lavoro dell’avvocato e, naturalmente, del relatore pubblico.

Non sempre quindi l’animatore e l’autore del messaggio coincidono con il reale mandante” (nell’esempio il cliente dell’avvocato o del relatore pubblico) della comunicazione.

L’etica comporta quindi una responsabilità comunicativa e ci permette di argomentare, sempre e comunque, le proprie scelte e decisioni.

Un comportamento etico, inoltre, contribuisce alla creazione di identità – reputazione, da non confondersi con il termine “immagine”. La reputazione è infatti una credibilità dimostrata, un qualcosa di non confuntabile e che sarà difficile da alterare mentre l’immagine è un qualcosa di aleatorio ed artificiale, facilmente modificabile.

Possiamo quindi affermare che una buona/cattiva comunicazione non si cambia repentinamente con operazioni d’immagine.

Ma è possibile essere sempre trasparenti?

Ci sono dei limiti alla trasparenza che vengono imposti, nel caso della comunicazione istituzionale dell’Esercito italiano presentato dal gen. Battisti, dalla necessità di garantire la sicurezza dei soldati, della missione e dell’Istituzione stessa.

Secondo Scandaletti, opinione da me condivisa in maniera completa, la cittadinanzattiva può divenire strumento di controllo e verifica dell’etica della comunicazione.
Esistono infatti degli aspetti critici che impediscono, o per meglio dire, che ostacolano la piena trasparenza ed eticità tra cui il mancato riconoscimento di alcune associazioni professionali (tra cui Ferpi), le mancanza di una programmazione a medio/lungo periodo dell’offerta formativa universitaria nazionale, i diversi e “perversi” rapporti dei personaggi politici con i media, l’assenza di organi a garanzia.

Mia opinione, sicuramente utopistica, è che un cittadino attivo e consapevole è il miglior garante (per sé stesso) dell’etica della comunicazione. Un garante super partes è comunque una forma di “censura” e di restrizione alla libertà personale ed al diritto all’informazione, buona o cattiva che sia.

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About the licensing of public relations

Prendo nuovamente spunto dal blog di Toni Muzi Falconi per alcune riflessioni in merito alla discussione, forse datata ma per noi sempre attuale e decisamente “hot”, sulla cosiddetta “PR Licensing”. Di che si tratta? In inglese la parola “license” significa letteralmente patente o permesso, stiamo parlando quindi di una legittimazione delle capacità e delle conoscenze di un professionista di relazioni pubbliche senza cui non sarebbe possibile operare sul mercato. Possiamo paragonarlo quindi all’esame di stato obbligatorio per diverse professioni come avvocati, commercialisti o all’esame di abilitazione per i medici. La comunità professionale mondiale è da sempre spaccata in due su questo punto in una sorta di “neverending story” che, dopo un periodo di relativo stallo, ha ripreso banco e su internet potrete trovarne largamente traccia. Vi invito a leggere, per comprendere a fondo l’argomento, le posizioni ma soprattutto le motivazioni dei diversi “schieramenti” (passatemi il termine) alcuni post presi qua e là:

Da Toni’s Blog (in inglese)

5 ottobre Harold Burson on full licensing from Delhi’s Icco conference! Professional Associations should get into the act and also devise and implement a pr for pr program!

9 settembre On the licensing of public relations: the debate revamps. Where are we to go?

Da Italo Vignoli’s Blog (in italiano)

11 ottobre
PR Licensing - Public relations will likely not gain the professional status it wants and deserves unless it embraces licensing.

In queste poche righe Toni Muzi Falconi sintetizza le motivazioni di coloro sono favoreli alla pr licensing ed ai suoi contestatori:

“The basic reasoning behind the licensing argument is that public relations, like other professions, impacts on the public interest and that therefore, as other professions are, it should be regulated to protect such public interest. The basic reasoning behind the denial of licensing is that public relations is a ‘first amendment profession’ and therefore the Government should stay away from regulating its dynamics.”

A mio modesto parere la legittimazione della professione non dev’essere considerata solo un obiettivo ma un “must” per la comunità delle relazioni pubbliche, una priorità assoluta.A proposito, leggete questo “quasi divertente” post tratto dal blog Le Relazioni Pericolosamente Pubbliche di Enrico Bianchessi. Quasi perchè purtroppo è una realtà di tutti i giorni soprattutto se pensiamo che queste cose non capitano solo a noi, nel nostro piccolo, ma persino a "mostri sacri" come Richard Edelman (The Jarvis Moment).

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domenica 5 novembre 2006

Dove tira il vento?

Si è tenuto il 5 ottobre a Trieste presso il Centro Congressi Stazione Marittima, il workshop Assorel “Dove tira il vento? Il valore delle Relazioni Pubbliche per l’economia del nord est” in cui è stata presentata l’indagine quantitativa condotta da Astra Ricerche su commissione di 18 agenzie associate Assorel. La ricerca, presentata e commentata in maniera molto efficace da Enrico Finzi (presidente Astra e TP), è stata condotta su un campione di circa 500 professionisti delle RP (liberi professionisti, agenzie e aziende) ed aveva lo scopo di definire la situazione del mercato delle relazioni pubbliche sul territorio nazionale ed ipotizzare delle previsioni per il prossimo biennio. Non starò qui a commentare i risultati ma se siete interessati potete visitare il sito Assorel. Sono stati altri gli spunti che hanno destato la mia curiosità e su questi mi piacerebbe un po’ soffermarmi per diversi motivi, primo fra tutti perché si tratta del nostro futuro professionale e non penso che tutti conosciamo così bene la situazione del mercato, cosa ci può essere richiesto dal cliente, quali le sue aspettative nei suoi confronti e così via. Quali sono questi spunti? Per ora ne illustrerò solo due.

1) ARE U READY?
Molte volte, ed io per primo, ci lamentiamo perché pensiamo e definiamo il mercato del Triveneto (ed in particolare del Friuli) come un territorio dove c’è poca cultura della comunicazione, dove c’è poca richiesta del nostro tipo di figura professionale e dove questa non-conoscenza porta ad un conseguente non riconoscimento delle nostre competenze. A parte il fatto che, per ciò che concerne il Triveneto, i numeri riportano una situazione in netto miglioramento se andiamo ad analizzare gli investimenti che le aziende, ed anche la PA, hanno destinato in questi ultimi anni alla comunicazione ma la riflessione che volevo fare riguarda proprio le competenze e la professionalità che noi, giovani “esperti” di comunicazione abbiamo conseguito o avremmo dovuto conseguire. “Un mercato più maturo e consapevole è un mercato più severo” … le parole del dott. Finzi sembrano banali ma non lo sono affatto, almeno secondo me, e mi portano a riflettere se effettivamente la crescita di consapevolezza e maturazione del mercato verso la comunicazione e le RP avanza di pari passo al mio grado di maturazione e crescita come professionista. In poche parole, mi sento pronto a soddisfare le richieste, o meglio, i bisogni del mio cliente? Non vuole essere una critica la mia ai corsi accademici, tutt’altro, ma solo la consapevole considerazione che per considerarmi un vero professionista devo continuare a crescere e ad aggiornarmi ogni giorno. Ma d’altronde…nessuno nasce "imparato", no?

2) SPECIALIZZAZIONE O PACCHETTO ALL INCLUSIVE?
Il mercato, sempre più maturo e consapevole, richiede una preparazione ed offerta sempre più specifica…in poche parole richiede una specializzazione sempre più marcata. Ed anche questa considerazione non è così poi banale…Dalla ricerca Astra risulta infatti che i servizi di RP vengono sempre più “scorporati” dalle agenzie soprattutto nel campo dell’organizzazione di eventi e per il lancio di nuovi prodotti. Il mio dubbio è che spesso si è portati a pensare che un referente unico per l’azienda possa essere la cosa migliore, un unico riferimento per la comunicazione di un brand, per il raggiungimento di un obiettivo, per la creazione di consenso (reputazione). Mi viene da pensare che se un professionista segue l’azienda a 360° avrà più facilità ad avere una visione d’insieme ed a coordinare tutte le attività del communication mix. Oppure è ipotizzabile che l’offerta di troppi servizi sia interpretata come uno scarso livello di professionalità? Tra l’altro ho apprezzato moltissimo l’intervento di Fabio de Visintini, direttore della Comunicazione della Regione FVG, in cui descriveva il concetto friulano del FASO TUTTO MI’ (Faccio tutto io) che ha salvato queste terre nel passato (vedi il terremoto del Friuli nel 1976) ma che ora rischia di diventare ostacolo alla crescita della regione.

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venerdì 13 ottobre 2006

Intercettazioni telefoniche: strumento per le relazioni pubbliche?

Prendo spunto dal blog di Toni Muzi Falconi (www.tonisblog.com), per girare a voi tutti (e chissà quanti sarete già...a milioni!!!) questa domanda: le intercettazioni telefoniche possono essere considerate uno strumento per i professionisti di rp ? Forse la prima risposta che vi passa per la mente è "Assolutamente noooo" o almeno questo è quello che ho pensato io leggendo il post di Toni Muzi Falconi. Ma come? Ho passato anni...e non pochi...all'Università per poi dover lavorare per mezzo delle così attuali intercettazioni telefoniche? Non è possibile, mi spiace Toni ma stavolta hai preso un abbaglio. Continuando però nella lettura del suo post le cose iniziano a cambiare, inizio a pensare che un fondo di verità nelle sue parole c'è. Riporto solo un pezzo in cui si parla di due casi specifici ma vi consiglio di leggere tutto il commento: "In one specific case, I was even directly victim of this procedure: a major corporation, in order to avoid a huge fine, accepted, without informing me, to post on the Internet all the classified information I had been supplying for many years … Can you imagine my embarrassment? And, can you imagine the fortune I could have made had I decided to sue that company for breach of years of reciprocal non disclosure agreements? In another recent case, in which I was not directly involved, but experienced it from close by, a colleague of mine actually convinced a client who knew his mobile was being tapped to use this very channel of communication to orient eavesdroppers and their clients in wrong directions…and, believe me, it worked like charm!!!

"Oh my God..ragazzi, è vero...le intercettazioni possono essere considerato uno strumento di relazioni pubbliche, poi potremmo disquisire sull'etica ma è probabilmente innegabile il loro ruolo nella creazione di consenso, di reputazione o nell'influenzare attività e comportamenti. Onestamente è un ragionamento che, soprattutto in prima battuta, mi ha un pò sconvolto le idee in merito alla professione che abbiamo o che vorremmo intraprendere. Fino a che punto può e deve spingersi il professionista di RP nel gestire e tutelare il suo cliente ed i suoi obiettivi?Verrebbe da pensare quindi che in guerra ed in amore tutto è permesso, o quasi...Non lo so, rimango perplesso. Toni Muzi Falconi conclude il suo post auspicando una via d'uscita: il ritorno al vero concetto di trasparenza. Chi sono, chi rappresento, quali sono i miei obiettivi e come intendo raggiungerli?Al momento, mi pare di capire, si possa ipotizzare quindi che non sempre è possibile dare una risposta a tutte queste domande.Ma sarà possibile farlo più avanti? E' possibile fare un percorso a ritroso per tornare a parlare di trasparenza? Ho i miei dubbi ma, da inguaribile sognatore, me lo auguro!

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