sabato 11 novembre 2006

Lei non sa chi sono io...eticamente parlando


Si è da poco conclusa la tredicesima edizione del Compa di Bologna, il Salone Europeo della Comunicazione Pubblica, anche quest’anno teatro di interessanti confronti e discussioni.

Per chi non conosce questa manifestazione basti sapere che neanche Ethan Hunt (Tom Cruise in Mission Impossible) potrebbe tentare di partecipare a tutti i convegni, seminari e tavole rotonde organizzate nella tre giorni bolognese (calendario), è necessario quindi scegliere accuratamente
le tematiche ed i relatori che più interessano e prepararsi a correre per i corridoi del quartiere fieristico felsineo.

La mia “avventura” di quest’anno parte martedì 7 novembre, ore 16.30 presso la sala T del Centro Servizi per seguire il convegno “Etica della comunicazione” e che vede come coordinatore Adriano Fabris (direttore Master in Comunicazione Pubblica e Politica presso l’Università degli Studi di Pisa) mentre come relatori Paolo Scandaletti (docente di Etica della Comunicazione presso la Luiss Guido Carli), Guidi Gili (preside Facoltà Scienze umane e sociali presso l’ Università degli Studi del Molise), Padre Pasquale Borgomeo (Collegio degli Scrittori “La Civiltà Cattolica”) e Giorgio Battisti (generale di divisione, capo Reparto Affari Generali, Stato Maggiore dell’Esercito).

Per motivi di spazio non mi è possibile presentare integralmente i concetti espressi ma cercherò di riassumere alcuni pensieri dei relatori.

Innanzitutto “comunicare eticamente” significa farlo in maniera trasparente: in poche parole il mittente del messaggio dev’essere ben identificabile così come i suoi obiettivi. Questo aspetto l’abbiamo già visto nel post sulle intercettazioni telefoniche con il contributo di Toni Muzi Falconi.

Interessante però la considerazione del prof. Gili che, citando gli studi del sociologo canadese Erving Goffman, ci dimostra come il mittente del messaggio può essere composto da una pluralità non meglio definita di soggetti (animatore – autore – mandante). Questo è perfettamente reale nelle professioni dove qualcuno cura gli interessi di un’altra persona (o organizzazione): pensiamo al lavoro dell’avvocato e, naturalmente, del relatore pubblico.

Non sempre quindi l’animatore e l’autore del messaggio coincidono con il reale mandante” (nell’esempio il cliente dell’avvocato o del relatore pubblico) della comunicazione.

L’etica comporta quindi una responsabilità comunicativa e ci permette di argomentare, sempre e comunque, le proprie scelte e decisioni.

Un comportamento etico, inoltre, contribuisce alla creazione di identità – reputazione, da non confondersi con il termine “immagine”. La reputazione è infatti una credibilità dimostrata, un qualcosa di non confuntabile e che sarà difficile da alterare mentre l’immagine è un qualcosa di aleatorio ed artificiale, facilmente modificabile.

Possiamo quindi affermare che una buona/cattiva comunicazione non si cambia repentinamente con operazioni d’immagine.

Ma è possibile essere sempre trasparenti?

Ci sono dei limiti alla trasparenza che vengono imposti, nel caso della comunicazione istituzionale dell’Esercito italiano presentato dal gen. Battisti, dalla necessità di garantire la sicurezza dei soldati, della missione e dell’Istituzione stessa.

Secondo Scandaletti, opinione da me condivisa in maniera completa, la cittadinanzattiva può divenire strumento di controllo e verifica dell’etica della comunicazione.
Esistono infatti degli aspetti critici che impediscono, o per meglio dire, che ostacolano la piena trasparenza ed eticità tra cui il mancato riconoscimento di alcune associazioni professionali (tra cui Ferpi), le mancanza di una programmazione a medio/lungo periodo dell’offerta formativa universitaria nazionale, i diversi e “perversi” rapporti dei personaggi politici con i media, l’assenza di organi a garanzia.

Mia opinione, sicuramente utopistica, è che un cittadino attivo e consapevole è il miglior garante (per sé stesso) dell’etica della comunicazione. Un garante super partes è comunque una forma di “censura” e di restrizione alla libertà personale ed al diritto all’informazione, buona o cattiva che sia.

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About the licensing of public relations

Prendo nuovamente spunto dal blog di Toni Muzi Falconi per alcune riflessioni in merito alla discussione, forse datata ma per noi sempre attuale e decisamente “hot”, sulla cosiddetta “PR Licensing”. Di che si tratta? In inglese la parola “license” significa letteralmente patente o permesso, stiamo parlando quindi di una legittimazione delle capacità e delle conoscenze di un professionista di relazioni pubbliche senza cui non sarebbe possibile operare sul mercato. Possiamo paragonarlo quindi all’esame di stato obbligatorio per diverse professioni come avvocati, commercialisti o all’esame di abilitazione per i medici. La comunità professionale mondiale è da sempre spaccata in due su questo punto in una sorta di “neverending story” che, dopo un periodo di relativo stallo, ha ripreso banco e su internet potrete trovarne largamente traccia. Vi invito a leggere, per comprendere a fondo l’argomento, le posizioni ma soprattutto le motivazioni dei diversi “schieramenti” (passatemi il termine) alcuni post presi qua e là:

Da Toni’s Blog (in inglese)

5 ottobre Harold Burson on full licensing from Delhi’s Icco conference! Professional Associations should get into the act and also devise and implement a pr for pr program!

9 settembre On the licensing of public relations: the debate revamps. Where are we to go?

Da Italo Vignoli’s Blog (in italiano)

11 ottobre
PR Licensing - Public relations will likely not gain the professional status it wants and deserves unless it embraces licensing.

In queste poche righe Toni Muzi Falconi sintetizza le motivazioni di coloro sono favoreli alla pr licensing ed ai suoi contestatori:

“The basic reasoning behind the licensing argument is that public relations, like other professions, impacts on the public interest and that therefore, as other professions are, it should be regulated to protect such public interest. The basic reasoning behind the denial of licensing is that public relations is a ‘first amendment profession’ and therefore the Government should stay away from regulating its dynamics.”

A mio modesto parere la legittimazione della professione non dev’essere considerata solo un obiettivo ma un “must” per la comunità delle relazioni pubbliche, una priorità assoluta.A proposito, leggete questo “quasi divertente” post tratto dal blog Le Relazioni Pericolosamente Pubbliche di Enrico Bianchessi. Quasi perchè purtroppo è una realtà di tutti i giorni soprattutto se pensiamo che queste cose non capitano solo a noi, nel nostro piccolo, ma persino a "mostri sacri" come Richard Edelman (The Jarvis Moment).

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domenica 5 novembre 2006

Dove tira il vento?

Si è tenuto il 5 ottobre a Trieste presso il Centro Congressi Stazione Marittima, il workshop Assorel “Dove tira il vento? Il valore delle Relazioni Pubbliche per l’economia del nord est” in cui è stata presentata l’indagine quantitativa condotta da Astra Ricerche su commissione di 18 agenzie associate Assorel. La ricerca, presentata e commentata in maniera molto efficace da Enrico Finzi (presidente Astra e TP), è stata condotta su un campione di circa 500 professionisti delle RP (liberi professionisti, agenzie e aziende) ed aveva lo scopo di definire la situazione del mercato delle relazioni pubbliche sul territorio nazionale ed ipotizzare delle previsioni per il prossimo biennio. Non starò qui a commentare i risultati ma se siete interessati potete visitare il sito Assorel. Sono stati altri gli spunti che hanno destato la mia curiosità e su questi mi piacerebbe un po’ soffermarmi per diversi motivi, primo fra tutti perché si tratta del nostro futuro professionale e non penso che tutti conosciamo così bene la situazione del mercato, cosa ci può essere richiesto dal cliente, quali le sue aspettative nei suoi confronti e così via. Quali sono questi spunti? Per ora ne illustrerò solo due.

1) ARE U READY?
Molte volte, ed io per primo, ci lamentiamo perché pensiamo e definiamo il mercato del Triveneto (ed in particolare del Friuli) come un territorio dove c’è poca cultura della comunicazione, dove c’è poca richiesta del nostro tipo di figura professionale e dove questa non-conoscenza porta ad un conseguente non riconoscimento delle nostre competenze. A parte il fatto che, per ciò che concerne il Triveneto, i numeri riportano una situazione in netto miglioramento se andiamo ad analizzare gli investimenti che le aziende, ed anche la PA, hanno destinato in questi ultimi anni alla comunicazione ma la riflessione che volevo fare riguarda proprio le competenze e la professionalità che noi, giovani “esperti” di comunicazione abbiamo conseguito o avremmo dovuto conseguire. “Un mercato più maturo e consapevole è un mercato più severo” … le parole del dott. Finzi sembrano banali ma non lo sono affatto, almeno secondo me, e mi portano a riflettere se effettivamente la crescita di consapevolezza e maturazione del mercato verso la comunicazione e le RP avanza di pari passo al mio grado di maturazione e crescita come professionista. In poche parole, mi sento pronto a soddisfare le richieste, o meglio, i bisogni del mio cliente? Non vuole essere una critica la mia ai corsi accademici, tutt’altro, ma solo la consapevole considerazione che per considerarmi un vero professionista devo continuare a crescere e ad aggiornarmi ogni giorno. Ma d’altronde…nessuno nasce "imparato", no?

2) SPECIALIZZAZIONE O PACCHETTO ALL INCLUSIVE?
Il mercato, sempre più maturo e consapevole, richiede una preparazione ed offerta sempre più specifica…in poche parole richiede una specializzazione sempre più marcata. Ed anche questa considerazione non è così poi banale…Dalla ricerca Astra risulta infatti che i servizi di RP vengono sempre più “scorporati” dalle agenzie soprattutto nel campo dell’organizzazione di eventi e per il lancio di nuovi prodotti. Il mio dubbio è che spesso si è portati a pensare che un referente unico per l’azienda possa essere la cosa migliore, un unico riferimento per la comunicazione di un brand, per il raggiungimento di un obiettivo, per la creazione di consenso (reputazione). Mi viene da pensare che se un professionista segue l’azienda a 360° avrà più facilità ad avere una visione d’insieme ed a coordinare tutte le attività del communication mix. Oppure è ipotizzabile che l’offerta di troppi servizi sia interpretata come uno scarso livello di professionalità? Tra l’altro ho apprezzato moltissimo l’intervento di Fabio de Visintini, direttore della Comunicazione della Regione FVG, in cui descriveva il concetto friulano del FASO TUTTO MI’ (Faccio tutto io) che ha salvato queste terre nel passato (vedi il terremoto del Friuli nel 1976) ma che ora rischia di diventare ostacolo alla crescita della regione.

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