giovedì 4 gennaio 2007

Giornalismo integrato e il web

Sul blog di Pandemia ho trovato stamattina lo spunto e l'ispirazione per parlare di come cambia o come sta cambiando il giornalismo nell'era del web 2.0.

Per prima cosa riprendo la "notizia" che si può trovare qui:

"Consiglio la lettura di un articolo a tutta pagina sul Sole 24 Ore di oggi, a cura di Giulia Crivelli, dal titolo "Largo ai giornalisti integrati" a pagina 18 dell'edizione cartacea di oggi (online non sembra disponibile).
Nel lungo pezzo si prende spunto da notizie internazionali recenti relative al mondo dei giornali per lanciare il tema della redazione integrata. Si prende spunto dallla nuova edizione del Wall Street Journal in edicola dal 2 gennaio, dal passaggio online e non più su carta del giornale più antico del mondo, il svedese Post- och Inrikes Tidningar, per tracciare un quadro dei cambiamenti in corso nella stampa internazionale con l'avvento e lo sviluppo di Internet.
Si racconta inoltre di come prestigiose testate quali Daily Telegraph, La Tribune, Washington Post abbiano intrapreso la strada dell'integrazione tra edizione online e quotidiano e di come i giornalisti di queste realtà siano sempre più multimediali nei propri reportage."

Bene, mi sono detto, ci stiamo rendendo conto che le cose stanno cambiando. E secondo me le grandi difficoltà che l'AssoStampa ha nel negoziare il contratto di lavoro con l'associazione degli editori è sintomo di questo cambiamento.
Non è soltanto il fatto che un quotidiano svedese lasci la carta stampata per buttarsi nel mondo virtuale (costi zero di stampa, possibilità di risparmiare anche sugli stipendi dei giornalisti...), ma soprattutto è lo svilupparsi di nuovi modelli di business e di nuovi paradigmi che, secondo me, cambieranno anche il modo di scrivere.

L'integrazione tra carta stampata e online è una delle tendenze di fondo dei tempi che corrono.

Su tale argomento ho fatto una breve ricerca e ho trovato il commento del giornalista Bruce Nussbaum di BusinessWeek che parla appunto di modelli di business. L'articolo lo trovate qui.

Secondo Nussbaum - e condivido questa visione - il WSJ sta tentando di raggiungere due obiettivi in una sola mossa, ma la cosa non è così semplice come sembra e in questo caso la strategia non è così chiara.

"First, it will cut the size of the WSJ itself and cut the news hole--the amount of space devoted to news. That should save a lot of money by cutting the cost of print, publishing and journalists."

Ecco uno dei punti a favore dell'online! I costi ridotti di stampa e la possibilità di pubblicazione in pochi click di mouse.

Il secondo punto della strategia del WSJ prevede che l'informazione e le notizie in quanto tali si trovino su internet, mentre l'approfondimento (e la creazione di significato, meaning per Nussbaum) rimangano sulla carta stampata - nessuna novità, perché alcuni settimanali già lo fanno.

Ed è qui che Nussbaum solleva due questioni:
  1. i consumatori di informazioni legati al mondo del business hanno davvero bisogno di tutto questo approfondimento e significato? o sono più interessati alle informazioni in quanto tali?
  2. il WSJ è in grado di fornire questo genere di servizio quotidiano e da oggi in poi?
Secondo me questo modello è contraddittorio in quanto la carta stampata ha limiti di spazio e di paginazione, quindi come è possibile approfondire un certo argomento - dedicandogli maggiore spazio - senza incidere sui costi di stampa?

Invece online un giornalista potrebbe scrivere pressocché all'infinito visto che i post e gli articoli occupano poche centinaia di byte.

Ma allora viene spontaneo porgersi la domanda se abbia senso continuare a stampare i giornali.

Lasciando da parte per il momento l'insostituibile sensazione tattile che un giornale o una rivista danno, secondo me la questione non si pone sul lato formale, bensì su quello sostanziale, in altre parole sul piano dei contenuti.
La carta stampata e il giornalismo online già si differenziano per contenuti e per le modalità con cui li trattano. Si tratta quindi di continuare a differenziarli, ma forse nel modo opposto, cioè nel presentare online l'approfondimento (possibile grazie all'iper- o alla multitestualità del mezzo stesso), mentre sulla carta stampata si possono affrontare gli stessi temi, ma in modo diverso. Opinioni, commenti, notizie avrebbero un'altra connotazione. Cosa ne pensate?

L'integrazione di questi due modi e mondi permetterebbe la sopravvivenza del primo, quello più "antico" o tradizionale.

Visto che parliamo di contenuti, ecco che però è necessario porsi quesiti in questo ambito, seguedo quelli che secondo me sono almeno due punti essenziali:
  1. Il concetto di notizia e il grado di "notiziabilità". La carta stampata con i suoi ritmi non può stare al passo con quelli di internet. Quindi la scelta degli argomenti da trattare è fondamentale. Sul giornale non cerco la notizia, perché l'ho già ricevuta da migliaia di altre fonti prima di leggere il giornale.
  2. Chi fa notizia? O meglio, chi decide che un dato argomento è notiziabile? In altre parole, se con internet e il web2.0 diventiamo tutti giornalisti, quale sarà il futuro della comunicazione e del giornalismo in questo senso?
  3. La qualità dei contenuti e dell'informazione. Quanto spesso si sente parlare gente che non ha nè i numeri nè l'esperienza per farlo e che, attraverso la rete, diffonde commenti, informazioni, voci di corridoio false o tendenziose?
Ancora una volta ritorna il concetto di credibilità della fonte ed è qui che sta il punto cruciale. I giornali sono qualcosa di molto credibile, anche per il semplice fatto di essere concreti, tangibili. Se ci spostiamo online, dove tutto può essere preso per vero, verosimile o notiziabile, dove sta la credibilità della fonte?

Pongo questo quesito in termini molto banali e ingenui, sperando di suscitare nei lettori di questo blog spunti di riflessione e commenti.

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5 Commenti:

Alle 6 gennaio 2007 alle ore 10:17:00 WET , Blogger marcobardus ha detto...

Tratto dal Sole 24 Ore.

Ecco come le cose continuano a cambiare!

"5 gennaio 2007
Il New York Times venderà le emittenti tv per focalizzarsi sul business Internet

New York Times Co ha deciso di vendere la propria divisione radio-televisiva, incluse nove stazioni televisive, al gruppo di private equity Oak Hill Capital Partners, per la cifra di 575 milioni di dollari. L'accordo, riferisce una nota di Times Co., dovrebbe concludersi entro il primo semestre del 2007. Le nove emittenti cedute, divisioni di ABC, CBS e NBC, hanno sede in Alabama, Arkansas, Illinois, Iowa, Oklahoma, Pennsylvania, Tennessee e Virgina e impiegano una forza lavoro di circa 900 dipendenti. Janet Robinson, amministratore delegato del New York Times, ha dichiarato che "l'obiettivo, adesso, è concentrarci sui nostri quotidiani e sul nostro crescente business digitale e on-line, oltre che sulle possibili sinergie tra i due settori".
Il New York Times ha fatto i conti negli ultimi anni con il rallentamento del mercato pubblicitario e della tiratura. Alla crisi, il gruppo editoriale ha risposto con una strategia incentrata sul taglio dei costi e sulla crescita del business internet."

 
Alle 8 gennaio 2007 alle ore 16:54:00 WET , Blogger Stefano Fait ha detto...

In effetti il cambiamento è sotto gli occhi di tutti. I motivi?
Di sicuro le potenzialità del web, anche in termini di costi e facilità d'aggiornamento, non potevano "sfuggire" alle testate giornalistiche, era solo questione di tempo per un passaggio, più o meno graduale, dalla carta stampata al monitor.
Un'altra considerazione da fare è però legata a scelte e strategie di marketing relazionale. Abbiamo studiato alla nausea le classiche 4P (product, price, place, promotion) ma sappiamo altrettanto bene che anche questi fondamenti del marketing aziendale sono profondamente mutati negli anni segnando l'ingresso di nuovi fattori o, per meglio dire, di nuove variabili, prima fra tutte l'utente finale del prodotto/servizio, il cliente.
L'ingresso di internet nella nostra quotidianità ha modificato in maniera evidente usi ed abitudini. Anzi...è forse cambiato proprio il modo di approcciarsi al quotidiano cartaceo visto adesso quasi come un momento di relax più che d'informazione.
Entriamo quindi in un'ottica di customer oriented che, legata agli aspetti di taglio dei costi ed alla semplicità operativa, rende comprensibilissima la scelta delle testate giornalistiche.
Non penso però che si possa ancora paragonare il "potere" della carta stampata rispetto ai byte.
Ho come l'impressione che il web-journalism stenti a decollare proprio per colpa della sua stessa evoluzione, troppo veloce e caotica. Si è parlato di "overload" (= sovraccaricamento) delle informazioni, d'inquinamento comunicativo del web e, di conseguenza, di credibilità della notizia (alla fine torniamo sempre qui!). E' proprio questo caos comunicativo il vero fattore critico della comunicazione (e del giornalismo) online che, a mio parere, ne blocca la completa evoluzione e maturazione.

 
Alle 8 gennaio 2007 alle ore 21:59:00 WET , Blogger marcobardus ha detto...

Oh sì, sono perfettamente in linea con il tuo pensiero! Vorrei aggiungere che oltre all'orientamento al cliente di cui parli, soprattutto nell'ambito della pubblicità, si tratta sempre di più di user generated advertising. Quel fenomeno che ha permesso, tra le altre cose, il successo di AdSense di Google o di altri strumenti.
Gli investimenti in pubblicità su internet sono cresciuti negli ultimi anni notevolmente (da qualche parte ho anche dei dati aggiornati, appena li trovo metterò un nuovo post).
Sì stanno cambiando le cose, ma come? Mi preoccupa questa evoluzione perché non è controllata e senza una chiara direzione.

Il sovraccarico (overload) di informazione di un tempo è stato ora superato dall'overload di comunicazione. Tutti comunicano, tutti parlano, alcuni urlano. Per farsi sentire cosa si deve fare allora? Urlare più forte o... tacere e ascoltare?

Propendo più per la seconda posizione.

 
Alle 8 gennaio 2007 alle ore 22:17:00 WET , Blogger Stefano Fait ha detto...

Per approfondire meglio questo concetto di "caos comunicativo", ecco alcune righe dal libro "Fare comunicazione pubblica" di Alessandro Rovinetti (Comunicazione Italiana, 2006).

...ritengo che la comunicazione significhi da sempre la stessa, identica cosa: la capacità di riuscire a costruire e saper mantenere relazioni.
(...)
Ma anche questi modernissimi mezzi, pur potendosi moltiplicare all’infinito rispetto agli strumenti del passato, risultano efficaci, hanno un pubblico e quindi uno scopo solo se riescono ad attivare un indispensabile meccanismo relazionale. Altrimenti siamo di fronte ad una sorta di “rumore comunicativo”...


E qui la parte forse più attinente alla nostra discussione:

Moltiplicare a dismisura le informazioni, infatti, non significa automaticamente moltiplicare il numero di persone informate. Così come le persone informate non sono quelle che si fanno sommergere dall’onda comunicazionale ma quelle che ricevono le informazioni di cui hanno bisogno.

 
Alle 12 gennaio 2007 alle ore 10:45:00 WET , Blogger Stefano Fait ha detto...

Fonte www.odg.it (Ordine dei Giornalisti):

Il Web 2.0 e lo scenario italiano: un convegno per fare il punto della situazione

Il web 2.0 e lo scenario italiano: a che punto siamo? Giornalismo diffuso, condivisione di saperi, progetti partecipativi: scenari e prospettive. E’ il titolo del convegno organizzato da giornalismi possibili in collaborazione con la Fnsi che si terrà venerdì 19 gennaio 2007, dalle ore 10 alle ore 17.30 presso la Sala Fnsi, in Corso Vittorio Emanuele 349. All’incontro interverranno Paolo Serventi Longhi, Carlo Sorrentino, Alberto Martinelli, Marco Pratellesi, Pino Rea, Elisio Trevisan, Antonella Beccaria, Bernardo Parrella (via Skype). Queste alcune delle relazione previste: - Un ponte necessario tra l’informazione tradizionale e i giornalismi possibili: Pino Rea e Elisio Trevisan; - La scena globale al crocevia tra ridondanza, speculazioni e la “next thing online”: Bernardo Parrella; - Riflettori puntati sulla scena italiana: Antonella Beccaria. Sarà inoltre presentato un dossier con case studies e interviste dei principali protagonisti del cosiddetto Web 2.0 italiano e dei più noti analisti del settore. Sono previsti il webcast in diretta e un dibattito finale via skypecast.
10/01/07

 

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